TEST MCINTOSH MP1100
SUONO marzo 2017 77
1 Capacità di analisi del dettaglio ...................3
2 Messa a fuoco e corposità ............................2
3 Ricostruzione scenica altezza .......................2
4 Ricostruzione scenica larghezza ...................3
5 Ricostruzione scenica profondità .................3
6 Escursioni micro-dinamiche ........................2
7 Escursioni macro-dinamiche .......................2
8 Risposta ai transienti ...................................2
9 Velocità .......................................................2
10 Frequenze medie e voci ...............................3
11 Frequenze alte .............................................3
12 Frequenze medio-basse...............................2
13 Frequenze basse ..........................................2
14 Timbrica ......................................................2
15 Coerenza .....................................................2
16 Contenuto di armoniche ..............................3
Il giudizio viene espresso su una scala di 6 valori da
-3 a +3. La linea tratteggiata corrisponde allo zero ed
esprime la congruità della prestazione con prodotti
analoghi appartenenti alla stessa fascia di prezzo.
SUONOGRAMMA
COSTRUZIONE
■ ■ ■ ■ ■
|
■ ■ ■ ■
Soluzioni sono ottimamente realizzate e imple-
mentate a bordo di uno chassis “McIntosh” da
ogni punti di vista.
VERSATILITÀ
■ ■ ■ ■ ■
|
■ ■ ■ ■ ■
Fra i più semplici da usare e configurare almeno
nelle funzioni base e direttamente connesse
alle prestazioni sonore. Settaggi possibili anche
in remote da telecomando.
ASCOLTO
■ ■ ■ ■ ■
|
■ ■ ■ ■
Particolarmente “trasparente” con prestaizioni
neutre e rigorose, tende a mettere in evidenza
il carattere dei parner interfacciati.
FATT. CONCRETEZZA
■ ■ ■ ■ ■
|
■ ■ ■ ■ ■
Si può consierare la chiave di volta di un im-
pianto analogico che però si compenetra anche
nell’universo digitale; unico nel suo genere: non
sono presenti oggi altrettanti esempi di icone
della portata di McIntosh!
QUALITÀ/PREZZO
■ ■ ■ ■ ■
|
■ ■ ■ ■
Di fronte a produttori che perseguono strade
estremamente caratterizzate per quanto riguar-
da l’amplificazione dei segnali deboli, è ancora
difficile trovare un’alterantiva che unisca il vec-
chio e il nuovo con lo stesso stile.
I voti sono espressi in relazione alla classe di appar-
tenenza dell’apparecchio. Il fattore di concretezza
rappresenta il valore nel tempo e l’affidabilità del
prodotto, del marchio e del distributore.
IL VOTO DELLA REDAZIONE
tasso di degrado.
Al netto dell’eetto che rende ico-
nico un prodotto McIntosh ancor-
ché destinato, per iperbole, per-
sino a grattugiare il parmigiano,
l’MP1100 si rivela un apparecchio
rassicurante sia per la sua com-
pletezza che per la sua versatilità,
che è tale da indurci nell’unica
vera seria critica, fonte di un en-
tusiasmo che porta a richiedere
sempre il “di più”: data la natura
dell’apparecchio sarebbe infatti
stata utile un’uscita variabile che
lo avrebbe trasformato “anche”
in un preamplicatore, seppur
con pochi ingressi; ne avrebbe
completato la versatilità ed esal-
tato gli aspetti di commistione
che caratterizzano l’apparecchio
e non è suciente in tal senso
l’eventuale ipotetica obiezione
sull’aggravio di costi visto che,
comunque, stiamo parlando di
un apparecchio al di sopra dei
10.000 euro! Se si modulano le
aspettative un gradino al di sot-
to di ciò che si considera ideale,
l’apparecchio per quel che ore
si prola come una pietra milia-
re per chi ambisce a un prodotto
denitivo, naturalmente se ce lo
si può permettere. Da punto di
vista sonoro l’MP1100 è ad oggi il
miglior phono tra quelli oerti -
nora dalla casa americana a bor-
do dei suoi amplicatori; da non
sottovalutare poi il plus valore
dell’ottimizzazione del carico e
delle curve di equalizzazione, be-
net che non hanno nemmeno i
pre al vertice del catalogo; soni-
camente ore una rappresenta-
zione sonora estremamente mu-
sicale dove contenuto armonico
e dettaglio svettano a favore di
una tavolozza sonora completa-
mente soddisfacente lungo l’arco
delle frequenze riprodotte. Il rit-
mo e il procedere di pianissimo e
pieni orchestrali avvengono con
una scansione ricca e credibile
che si combina con una scena
sonora le cui dimensioni non
sono esasperate ma certamen-
te in grado, in maniera ampia,
di soddisfare la sensazione di
veridicità dell’insieme. Anche
l’operazione di digitalizzazione
dei contenuti analogici è di am-
pia soddisfazione. Innanzitutto è
stato rimosso il limite, più psico-
logico che pratico, della frequenza
di campionamento: ora ognuna
delle uscite (coassiale, ottica e
USB) lasciano passare segnali
sempre a 24 bit ma selezionabili
a 96 o 192 kHz. Inoltre due ltri
analogici possono essere di aiuto
durante le operazioni di ripping
(che naturalmente richiedono un
software apposito non fornito né
tantomeno suggerito da McIn-
tosh): il Rumble rimuove alcuni
rumori che possono essere stati
raccolti in fase di registrazione del
disco mentre lo Scratch intervie-
ne sui piccoli danni che possono
essere stati causati durante la let-
tura del disco da parte del fono-
rivelatore. Il ltro mono, inne,
insieme all’apposita regolazione
della RIAA, rende più veritiere le
registrazione eettuate in questo
formato. La qualità sonora del
convertitore A/D ci è sembrata in
linea con le migliori realizzazioni
di questo tipo che abbiamo potu-
to testare. Forse nulla di trascen-
dentale da quest’ultimo punto di
vista ma un ulteriore tassello, in-
sieme a un coacervo di funzioni e
prestazioni, che unite all’indub-
bio fascino che ogni McIntosh è
in grado di sprigionare rendono
comunque l’apparecchio un og-
getto dei desideri, oltre che utile
strumento di qualità. In fondo i
sogni sono fatti così, no?
L’ANALOGICO
CHE NON VIDE MAI
COMPLETA LUCE
Correva l’anno 1978 e la rivista per
cui lavoravo allora (“SuperStereo”)
rientrava nelle grazie della McIntosh
che ci invitò - non me che ero un
novizio ma i miei superiori - a visitare la
sede in USA dell’azienda. Poco tempo
dopo ricambiammo l’invito ospitando
Gordon Gow (uno dei due proprietari
di allora insieme a Frank McIntosh) e
sua moglie in redazione (quella volta
c’ero, essendo nel frattempo salito
di grado!). Gow si apprestava alla
sua prima visita in Giappone, dove il
marchio non aveva ancora notorietà
pari al resto del mondo: andava lì
in veste ambasciatore di McIntosh
ma anche perché, ci disse, tramite
un amico intendeva “sondare” un
costruttore di testine (che allora
si costruivano praticamente
solo lì...) per realizzarne una con
il marchio dell’azienda.
Da quella visita, oggi è storia, Gow
tornò con un accordo con la Mark
Corporation per la realizzazione di
una testina moving coil: la fase di
sviluppo si protrasse no al 1984 e
generò due dierenti modelli (MCC
800 e 1000), caratterizzati dall’avere
le bobine avvolte direttamente sul
cantilever. Lo stilo, dunque, non era
sostituibile dall’utente e la testina
doveva eventualmente tornare
in fabbrica per l’operazione e per
ottenere il corretto allineamento dello
stilo. Quasi contemporaneamente in
McIntosh si posero anche il problema
di come i possibili acquirenti di una
di queste testine avrebbero potuto
utilizzarla senza dover sostituire il
preamplicatore: nacque così il pre-
phono moving coil MCP-1. Nello
stesso periodo Bob Graham, allora
un ingegnere appena laureatosi
al MIT, propose a Gordon Gow un
braccio di sua invenzione: si trattava
di un originale unipivot smorzato
con silicone e cuscinetto del sistema
realizzato di carburo di tungsteno.
Iniziò una collaborazione e lo sviluppo
del progetto con la realizzazione di
alcuni campioni del braccio.
Nel frattempo il CD cominciava
prepotentemente a sbancare il
mercato, tanto da far considerare
recessivo tutto l’analogico e
convincere Gow ad abbandonare
il progetto che Graham avrebbe
poi portato avanti creando una sua
azienda (Graham Engineering). La
concomitante uscita del mercato
della Mark Corporation mise la parola
ne, poco dopo l’inizio (i prodotti
nemmeno arrivarono in Italia), alle
avventure del front end analogico
targato McIntosh!
costruttore di testine (che allora
si costruivano praticamente
solo lì...) per realizzarne una con